Riferisce Ateneo, filosofo peripatetico, che nel paese dei Getuli in Africa, gli asparagi erano grossi come le canne e lunghi dodici piedi. E Plutarco, che nella Caria, provincia dell'Asia Minore, il popolo li adorava. I Fenici se ne ungevano il corpo col loro sugo onde non essere punti dalle api. Pare che anche il cuoco di Giulio Cesare glieli apprestasse non molto stracotti, perch'egli ad esprimere la velocità d'alcun che soleva dire: citius quam asparagi coquantur. Mille sono le virtù ed i vizi che i medici assegnano agli asparagi. Sono diuretici in sommo grado, giovano nell'idrope, nelle affezioni cardiache, sono calmanti nell'orgasmo nervoso, nei dolori dei tisici, nell'insonnia, giovano contro il catarro polmonare, nella paralisi della vescica e perfino a detta del medico ateniese Chairetes contro l'idrofobia. All'incontro non sono convenienti agli isterici, agli ipocondriaci, ma sopratutto a quelli che patiscono la gotta. Albert suggerisce che mettendo la sera nel pot de chambre un paio di goccie d'aceto, colui che il giorno prima s'è fatto una scorpacciata d'asparagi si desta al mattino in un'atmosfera embaumè di violette. Altri invece assevera, che tale effetto si ottenga con un po' di essenza di trementina invece dell'aceto.
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della vescica e perfino a detta del medico ateniese Chairetes contro l'idrofobia. All'incontro non sono convenienti agli isterici, agli ipocondriaci, ma
Radice biennale indigena carnosa, tonda, zuccherina, originaria dalle coste Europee dell'Atlantico e del Mediterrraneo. Principali varietà: La campestre, rossa all'esterno, screziata di bianco e roseo all'interno, e la gialla oblunga e rotonda che servono specialmente per il bestiame. Le mangiereccie sono: la Bianca di Slesia bianca all'interno ed all'esterno detta Beta Cycla (in Fr. Navet) che è quella che contiene maggior quantità di zuccaro, e la Rossa preferita per gli usi domestici ed è la più nutritiva, ma è pur quella che ingrossa meno. La Barbabietola contiene il 88% di acqua. Si spargono i semi in Febbraio e Marzo, in terreno fresco, profondo, pingue. Si colgono i frutti in Agosto - Si mangia cotta, (meglio al forno) condita in insalata: è alquanto indigesta. Dalla Barbabietola Cycla, quando è novellina se ne levano le foglie dette da noi erbette che si mangiano bollite, e servono nella minestra e a marinare le zuppe. I suoi nervi quando è invecchiata diconsi da noi cost (in Fr. còtes de poirèes), e si mangiano concie con burro, sale e cacio, richiedono molto condimento e le foglie (Bied) vengono pure usate nelle zuppe e negli erbolati (scarpazza) e nelle medicazioni vescicatorie. La Barbabietola attualmente è coltivata in grande onde cavarne zuccaro. Troviamo nominata la barbabietola da antichissimi autori, ma con poca lode. Erano celebrate quelle di Ascrea, che era un paesucolo sterile della Beozia e forse non avevano che quelle. Marziale diceva che questo cibo da fabbro bisognava condirlo di vino e di pepe:
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mangiereccie sono: la Bianca di Slesia bianca all'interno ed all'esterno detta Beta Cycla (in Fr. Navet) che è quella che contiene maggior quantità di zuccaro
I Trojani la mettevano nel vino, il che secondo loro ne aumentava il sapore e v'infondeva allegrezza ed ilarità e rallegrava il cuore. Apulejo scrive che i Lucani la chiamavano Coragine, perchè à gran proprietà nelle passioni del cuore, onde poi col tempo si mutò il C in B e fu detta Borragine. Marsilio Ficino assicura che l'uso dei fiori di borragine mantiene l'uomo giovine ed allegro.
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che i Lucani la chiamavano Coragine, perchè à gran proprietà nelle passioni del cuore, onde poi col tempo si mutò il C in B e fu detta Borragine
Il suo nome da Bresic, cavolo. È la pianta erbacea, annuale indigena che tutti conoscono. Vuole terreno lavorato, esposto, teme più il caldo che il freddo. Ve ne sono tante varietà, di precoci e di tardive. Le precoci si seminano in Febbraio e Marzo per averle nella state, le tardive in Aprile e Maggio si trapiantano in Agosto, si raccolgono in Autunno e nel verno ; a salvare i cavoli dal bruco (gattine) circondarli da strisce di fusti di canapa. La varietà del Gambus, (forse dal francese Choux Cabus) Brassica oleacera capitata è meno saporita. Anche del Gambus molte varietà. È distinto quello detto Cavolo Cappuccio di Schweinfurth a testa enorme, a fusto cortissimo - merita d'essere introdotto da noi per la sua straordinaria grossezza, precocità e certa squisitezza. Non è a metter da parte quello di Bruxelles a getti e a mille teste, che à fusto elevato intorno al quale sporgono tante verzette, ricercate per delicatezza di gusto in minestra, o per guarnizione(1). Il cavolo si mangia in cento maniere - nelle minestre - nelle zuppe - in insalata - si mette negli intingoli - serve ad accompagnare i salsicciotti - a far polpette - si condidisce come gli spinacci all'olio, al burro - se ne fà la così detta verzata. Il cavolo è più saporito quando à sentito i primi freddi. Non si deve tagliare col coltello, ma strappare le foglie colle mani, perchè il ferro gli toglie sapore e comunica cattive qualità. Troppo cotto è indigesto e flattulento. Ama molto il burro e specialmente il lardo, va d'accordo colla carne d'animale. Da solo il cavolo vale niente - onde proverbio: El var un càvol, una sverza, per dire che val nulla. I cavoli crudi servono alla preparazione di quelli erbacei fermentati che si conservano e si mangiano chiamati Sauer-Kraut (erba acida) cibo prediletto dei Tedeschi se del quale Marziale :
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- se ne fà la così detta verzata. Il cavolo è più saporito quando à sentito i primi freddi. Non si deve tagliare col coltello, ma strappare le foglie
Plinio li maltratta e Catone ne canta le lodi. I Romani, un bel dì cacciarono da Roma tutti i medici che rimasero esigliati per lunghissimo tempo e Catone il censore assicura che i Romani si curarono da ogni male coi cavoli. Varrone salvò, mercè loro, la sua famiglia dalla pestilenza. La più celebrata specie presso i Greci ed i Romani, era la verza nostra, detta appiana, benchè fossero conosciute e coltivate anche le altre specie. Nel bon tempo antico, i cavoli erano un contraveleno ai funghi velenosi, cotti con pepe davano molto latte alle balie e molta voce ai cantanti, il loro seme nel brodo di carne era un toccasana per tisici. Il cavolo come la minestra dei nostri nonni faveva diventar alti i ragazzi e la scuola di Salerno dice:
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celebrata specie presso i Greci ed i Romani, era la verza nostra, detta appiana, benchè fossero conosciute e coltivate anche le altre specie. Nel bon tempo
Il suo nome che viene dal greco, significa Forza. Pianticella annuale, indigena, della Spagna e dell'Italia. Si semina in Aprile e Maggio in bona esposizione, fiorisce dal Giugno al Luglio, si raccoglie alla fine d'Agosto. Da noi scarsamente si coltiva perchè cibo piuttosto difficile a digerirsi. E comune invece nella Siria, nell'Egitto ed in altre regioni orientali. Ve ne sono due varietà, la bianca e la oscura, migliore quest'ultima. È coltivato pure in Spagna dove entra come primario ingrediente nella loro olla potrida e lo chiamano garavança. Sono i ceci fra i legumi più difficili a cocersi, e però si devono mettere in bagno d'aqua la sera prima e farli cocere molto, con acqua piovana, e se con quella di pozzo, mettervi della cenere, saranno più teneri e cuoceranno più presto. Da noi si mangia tradizionalmente colla carne porcina il dì dei morti, costumanza che risale agli antichi Romani, in memoria del ratto delle Sabine. Nel genovesato colla farina di cece mescolata ad olio sale ed acqua se ne fà tortellacci, ed un' altra pasta, detta panizze, che si frigge o si mette in stufato(1). Galeno ne parla come di cibo rusticano. I Mauritani ne andavano ghiottissimi. Dioscoride assicura, che il cece dà bel colore alla faccia. Gli antichi ponevano questo legume a segno d'incorruttibilità. I Persiani ne usano anche oggi come rinfrescativo. Vogliono che contenga molto acido ossalico e sia eccellente contro i calcoli, una volta almeno aveva tale virtù con quella di rafforzare la voce. Tra i varj legumi che si usano per adulterare il caffè, il cece è forse quello che meglio degli altri gli si avvicina, per cui in Francia lo chiamano café français, il quale caffè, invece da noi, si chiama semplicemente brœud de scisger. Cicerone fu così chiamato da cicer perchè aveva in cima al naso un bellissimo cece. Nei Vespri Siciliani, coloro che non sapevano pronunciar ceci — si uccidevano — era il riconoscimento di un francese — che rispondeva: sesì.
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, detta panizze, che si frigge o si mette in stufato(1). Galeno ne parla come di cibo rusticano. I Mauritani ne andavano ghiottissimi. Dioscoride
Nel linguaggio dei fiori: temperanza. Il suo nome forse dall'arabo chikouryk. Pianta erbacea, originaria dell'Europa, Barberia e Indie Orientali. Si semina da Febbraio a Settembre. Vuole terreno soleggiato e ricco. Ve ne ànno due specie — a foglie lunghe amarognola, e la cicoria scariola a garzuolo o grumolo (scirœu) a foglie quasi tonde di sapore leggermente amaro. Si educano pure nelle cantine per averne foglie più bianche, o rosse e più tenere. La selvatica, detta da noi zuccoria selvadega è la leutodon (dal greco leon, leone, e odùs, dente). — In fr. Pissenlit; ted. Lövenzahau; ing. Deudelion — cresce nei luoghi umidi sabbiosi e viene adoperata al principio della primavera come insalata, è amarissima. Della cicoria si mangiano tanto le foglie che la radice; è più digeribile quanto più tenera. Da noi si ciba cruda, ma in Francia si fanno molti piatti caldi. Si può metterla nelle zuppe e minestre e usarla generalmente quando è scottata nell'acqua bollente come gli spinacci. La cicoria fu detta dai latini ambuleja, dagli egizi cicorium, e dai greci hedynois. I Magi, popolo del Caucaso, per la grande sua utilità la chiamarono chreston e pancration. Galeno l'odiava, e Virgilio la trovava molto amara. ¬– Et amaris intyba fibris, (Georg.). – Fino dalla più remota antichità venne considerata come un rimedio depurativo e tonico. A scopo medicinale è da preferirsi la selvatica(1). Per i bambini se ne prepara ancora uno sciroppo disostruente. Nell'Olanda, nella Fiandra e in alcuni dipartimenti francesi viene coltivata in grande, onde colle radici torrefatte, fabbricarne quella porcheria che si chiama caffè di cicoria, che à invaso tutto il mondo. Chevallier dice, che la sola Francia ne consuma annualmente sei milioni di chili. Le prime fabbriche di caffè di cicoria furono fondate in Olanda nel 1772. Anche questo viene falsificato con fondi di caffè, con terra, fave torrefatte, ecc. Dalla pianta della cicoria se ne cava una tintura gialla. Uno scrittore francese del 600 ci tramanda che le signore nobili ne bevevano il decotto onde diventar belle e di colore allegro.
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tenere. La selvatica, detta da noi zuccoria selvadega è la leutodon (dal greco leon, leone, e odùs, dente). — In fr. Pissenlit; ted. Lövenzahau; ing
Bulbo conosciuto che vuolsi originario dall'Egitto, ma realmente la sua patria è sconosciuta. Ama terreno sostanzioso ma leggiero. Si semina da Febbrajo a Maggio in luna vecchia, fiorisce in Giugno e Luglio, matura in autunno, e si conserva per tutto l'inverno. Nel linguaggio dei fiori: Spia. Si semina pure in estate ed autunno per averle nella successiva primavera. Chi desidera avere cipolline giovani ne semina ogni 15 giorni fino ad Agosto irrigandole, e quando sono della grossezza d'un dito mignolo si trapiantano. La semente conserva la sua virtù di germogliare per tre anni. Molte varietà — le tonde e le depresse, le bianche e le rosse o gialle. Da noi più ricercate per sapore sono sono quelle di Como ed in particolar modo quelle di Brunate. È questa una radice importantissima che fa la sua comparsa cotta e cruda nella ciottola del contadino, e, sotto mentite spoglie, forma la base di tanti manicaretti e salse squisite che si imbandiscono alla tavola del ricco. E condimento ed alimento. Nella cucina milanese la cipolla è come l'aglio uno dei principali suoi ingredienti. Per molti è indigesta; cotta è di più facile digestione che cruda. Vogliono che tagliata a pezzi e lasciata alcun tempo nell'acqua perda la sua acredine e riesca molto dolce. La cipolla fu dagli Egiziani elevata agli onori della divinità. Fra tutte le cipolle era celebre l'ascalonia, così detta da Ascalone, castello della Giudea, dove venivano d'una grossezza e bontà straordinaria. Nelson e Vittorio Emmanuele la mangiavano cruda in insalata ed era uno dei loro cibi prediletti. Fino dall'antichità la cipolla cavava le lagrime, per cui quando vedevasi alcuno piangere, si diceva, teste Aristotele de problematibus: À mangiato, o, à odorato le cipolle. Fu ritenuto anticamente come un cibo callido, massime se cruda e le si conferivano molte virtù. Donava bel colorito al viso, ajutava la digestione, promoveva l'appetito, guariva dalle morsicature dei cani:
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era celebre l'ascalonia, così detta da Ascalone, castello della Giudea, dove venivano d'una grossezza e bontà straordinaria. Nelson e Vittorio
Vicia da Vincia, che si attorciglia. Legume annuale, originario del mar Caspio e della Persia. Vuol terreno argilloso, sostanzioso, a mezzodì. Si semina d'autunno a Febbraio. Due varietà: la invernenga e la marzuola detta Cavallina più piccola. Celebre la fava di Nizza. Nel linguaggio dei fiori: Corbellare. La fava fresca che da noi si chiama Bagiana , si mangia in minestra. Secca si macina e serve anche pel bestiame. La fava è feculenta e flattulenta, deve essere mangiata di rado e tenera. La fava specialmente secca è cibo da carettiere. È il più grosso dei nostri legumi mangerecci. I Fenici ne facevano pane e furono i primi che la introdussero da noi. Nella Bibbia troviamo che la fava dava la farina da mischiarsi con altri grani a far pane (Ezech.). Gli scrittori greci e latini la raccomandavano come cibo gratissimo ai giumenti. Varone e Columella ne parlarono, ma mai come cosa idonea al cibo dell'uomo. I Latini presero il nome di Faba dai Falisci, popolo dell'Etruria, abitanti a Falerio, oggi Montefiasco. Essi la chiamavano Haba e poi per corruzione i Latini Faba. Da faba venne pure la parola fabula, ad indicare una cosa gonfiata, onde fabula, una piccola bala — e fabarii i cantori, perchè questi mangiavano le fave ad irrobustire la voce. La fava diede il nome alla famiglia dei Fabi. Ermolao Barbaro scrive che a' suoi tempi nell'Insubria e nella Liguria i venditori di fave andavano gridando per le strade : bajana, bajana! donde forse derivò a noi il nome di bagiana. Nel Veneto ai Milanesi si dava l'epiteto di bagiani, che da noi significa babbei. Fino dalla antichità la fava serviva nei comizi per la votazione. La bianca era segno di assoluzione, la nera di dannazione , teste Plutarco. Da qui ne venne che la parola fava servisse per dire suffragio, voto ed anche favore. Pittagora diceva, essere proibito mangiar le fave — cioè vendere i voti. Oh! quante fave mangiano i deputati! Le galline che mangiano le fave, fanno l' ovo col guscio molto fragile.
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semina d'autunno a Febbraio. Due varietà: la invernenga e la marzuola detta Cavallina più piccola. Celebre la fava di Nizza. Nel linguaggio dei fiori
La Lattuga prende il nome dal succo lattiginoso che contiene. È pianta erbacea annuale, di patria ignota, la più insipida delle insalate, se se ne eccettui il lattughin detta anche insalatina, da noi, forse perchè essendo assai tenera e primaticcia si mangia volentieri. Ve ne sono 3 varietà. Da noi se ne coltivano due, la comune e la romana. Vuol terra leggera ben lavorata e grassa e frequenti irrigazioni. Si semina da Marzo a Settembre, e la si preserva dai freddi coprendola. S'imbianca come l' endivia. Il suo seme migliore è quello di due anni. Nel linguaggio dei fiori: sonno. Fu sempre conosciuta la sua azione soporifera. Galeno ne mangiava tutte le sere per procurarsi il sonno. Dioscoride e Celso l'avevano come un succedaneo dell'oppio ed è forse per questa sua proprietà d'addormentare che venne chiamata Erba dei Filosofi. Era opinione che la lattuga accrescesse il latte alle nutrici, e ciò si crede anche oggi. Pitagora la chiamò Eunachion. La lattuga fù dai romani consacrata a Venere e pochi di loro per rispetto alla Dea ne mangiavano. Era tradizione che Venere dormisse al fresco nella lattuga. Adone ucciso da un cinghiale venne sepellito sotto la lattuga. Marziale scrive che la si mangiava dopo cena, per dissipare i vapori del vino. Svetonio ci tramanda che Augusto decretò una statua al suo medico Antonio Musa perchè costui colla lattuga lo guarì dalla ipocondriasi. In ogni tempo fu creduta verdura refrigerante e debilitante. La lattuga a poco a poco era caduta in dimenticanza tale che non era neppure più coltivata verso la fine del 1600. Alcuni medici vollero emulare il Musa di Augusto. E Lanzoni la vantò contro l'ipocondria, Breteuil nelle convulsioni, Gouan nella nefrite e nell'iterizia, Schelinger nell'angina di petto, Brassavola nell'idropisia, Hudellet nelle febbri intermittenti, terzane, quartane, ecc.; insomma una specie di manna. Oggi si mangia in insalata e si mette nelle zuppe e negli intingoli diversi. Si crede che non lavata, la lattuga sia più saporita.
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eccettui il lattughin detta anche insalatina, da noi, forse perchè essendo assai tenera e primaticcia si mangia volentieri. Ve ne sono 3 varietà. Da noi
La pimpinella (da bipennula, per le foglie bipennate) detta anche salvastrella, è originaria della Germania. Ve ne ànno 5 specie. E pianticella erbacea perenne, si moltiplica per seme, ma meglio per radici in autunno, si adatta a qualunque terreno, ma lo predilige umido e fresco, à fiori a spira rossastra, nasce naturalmente nelle montagne e nei prati, resiste al freddo. Nel linguaggio dei fiori: noncuranza. Si coltiva negli orti per uso di cucina, le sue foglie servono per condimento e per guarnizione d'insalata. Si raccomanda per il suo odore di melone. I suoi fiori messi in decozione con certa quantità d' allume sviluppano un bellissimo color grigio che serve a tingere la lana, la seta ed il cotone. Gli antichi ne usavano per guarire dalla tabe. È leggermente astringente.
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La pimpinella (da bipennula, per le foglie bipennate) detta anche salvastrella, è originaria della Germania. Ve ne ànno 5 specie. E pianticella
Rumex da rumo, io succhio, perchè i fanciulli ne succhiano le foglie e le punte addette - nel linguaggio dei fiori - Asinaggine - è perenne, dura fino a 12 anni - si semina da Marzo a tutto Settembre - preferisce terreno umido - si moltiplica per mezzo di radici. Se ne contano 21 specie. Cresce anche nelle campagne, ma è da preferirsi quella coltivata nell'orto. Si mangia quando è verde. Preparasi in varie maniere come cibo: col burro e panna, come gli spinaci, colle ova, nelle frittate, nelle salse verdi, colla carne, nelle zuppe, negli intingoli; si mescola coll'insalata, massime alla lattuga - serve a togliere il puzzore alle carni, principalmente di pecora e castrato. Varietà: - la patientia, detta anche acetosa spinacio - (nel linguaggio dei fiori Pazienza) è indigena, si semina in Marzo e Aprile, dà fiori verdicci. Le acetose servono ad uso medicinale, in decotto e sono antiscorbutiche e contengono molto acido ossalico che fra tutti gli acidi vegetabili, è il più ricco di ossigeno — convengono in tutte la malattie infiammatorie. Dall'acetosella si prepara il noto sale di tal nome. L'acetosa, a' tempi andati fù detta anche erba alleluja, perchè fiorisce verso le feste pasquali. Impastata coll'aceto e seccata serve all'occorrenza per cambiare in poco tempo il vino in aceto — masticata scioglie i denti intorpiditi per aver mangiato frutte acerbe. La sua radice seccata e bollita dà una tinta rossa. Da noi si chiama erba brusca, pan cucch, pan mojn, de la Madonna.
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lattuga - serve a togliere il puzzore alle carni, principalmente di pecora e castrato. Varietà: - la patientia, detta anche acetosa spinacio - (nel
Radice erbacea annuale, indigena, di patria ignota, che vuol terreno ricco, leggero, fresco. Si semina tutto l'anno, si raccoglie come la patata. Varietà: lunga dolce (hortensis) detta, quando è cotta da noi bojocch, la rotonda a radice compressa. La rapa è carnosa, dolce, di facile digestione, di sapore ignoto, e contiene il 92 % d'acqua. Si sfetta nelle zuppe, nelle minestre, si mangia condita col burro, formaggio e spezie, in salsa bianca, in insalata, si frigge. Si marita bene al montone e all'anitra. La sua semente dà olio da ardere. Dal sugo espresso e fermentato se ne può cavare spirito pure da ardere. In Francia, Belgio ed Inghilterra si coltiva la specie gialla, per foraggio e vi vengono grossissime. Il suo nome di rapa, viene da rapere, verbo latino che significa rubare, perchè le rape mangiandosi crude dai Romani, si rubavano volentieri dai passanti nei campi. Pare che presso gli antichi fosse un cibo ghiotto, perchè tutti ne parlano. Marziale ne vantava il sapore allorchè ànno sentito il freddo.
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. Varietà: lunga dolce (hortensis) detta, quando è cotta da noi bojocch, la rotonda a radice compressa. La rapa è carnosa, dolce, di facile digestione, di
Il suo nome da ros, rugiada e marinus marina, - rugiada di mare, - nascendo spontaneo sulle rive di questo in tutta l'Europa Meridionale. Nel linguaggio dei fiori : La tua presenza mi consola. Lo Rosmarino o Ramerino è un arboscello perenne, indigeno, originario dell'Oriente. Ama essere addossato ad un muro ad esposizione di meriggio e levante, terra leggera, piuttosto sabbiosa. Teme i venti e massime il freddo. Si moltiplica per divisioni di radici, per getti ed anche per via di margote. Varietà: l'augusti folius, l'argenteus, l'auratus e il latifolius. Tutta la pianta à odore forte aromatico e balsamico. Sapore acre, amaretto. Il rosmarino si adopera in cucina a dar sapore agli arrosti, e alle carni che si mettono in infusione. In medicina è stimato come stomachevole, stimolante, emmenagogo. Se ne cava un olio essenziale, che nelle spezierie chiamasi Oleum Anthos. Dai cauli fioriti si compone l'acqua così detta della Regina d'Ungheria contro l'isterismo, ecc. In profumeria entra quale componente di varie acque odorose tra le altre della famosa Acqua di Colonia. Dai Greci veniva chiamato Libantide Coronaria, perchè serviva ad intessere corone. Oltre i soliti scrittori di cose naturali ne fà cenno Virgilio:
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compone l'acqua così detta della Regina d'Ungheria contro l'isterismo, ecc. In profumeria entra quale componente di varie acque odorose tra le altre
L'etimologia del sambuco è a desumersi dal nome dell'istrumento a cui servì primamente. Il greco sambuke ed il latino sambuca era istrumento musicale fatto a triangolo, forse la synphonia biblica, citata dal Calmet; in sostanza, la cornamusa, la nostra tiorba fatta di cannuccie di sambuco, quella stessa che adoperava Orfeo, uno dei primi Sambuciarii, per far ballare i sassi. Onde Sambucistria la ballerina, e sambucam cothurno aptare, che era l'operetta d'allora. Anche oggi i ragazzi ciuffolano come Orfeo entro la canna del sambuco. Il sambuco è un arboscello perenne delle nostre siepi, che cresce in ogni terreno. Nel linguaggio dei fiori: Umiltà, riconoscenza. Dà fiori piccoli, bianchi, ad ombrella di odore delizioso, da noi chiamati panigada. La parola panigada alcuni vogliono venga dal greco pana gatos che vuol dire ottimo - altri da panis gaudium, per il gratissimo sapore che dona al pane. I fiori cedono il posto ai frutti a forma di bache verdi in principio, nere quando sono mature, grosse quanto i frutti del ginepro ed in gran numero. I suoi fiori servono al cuoco che li frigge, al fornajo che li mescola col pane, al pasticciere che ne aromatizza le leccornie, al cantiniere che con quelli dà un sapore di moscatello al vino, principalmente il bianco, e all'aceto. Con essi si aromatizzano altresì le acque. I frutti quando sono maturi e neri servono a tingere le acque e vini senza pericolo alcuno. La polvere stessa di essi frutti disseccati, comunica ai liquidi grato sapore. Le bacche nere si mangiano talora preparate con zuccaro e droghe. Il sambuco è adoperato in medicina in molti modi. Se ne prepara un roob diaforetico, un infuso teiforme. L'odore aromatico dei fiori finisce col diventare nauseoso e nocevole aspirandolo lungamente. Plinio dice: E Sambuco vertigines sonnusque profundus. - Dal Sambuco vertigini e sonno profondo. Colle bache nere fino da' suoi tempi, le donne usavano tingersi i capelli, forse con minore risultato, ma certo con minori pericoli che oggi. In Norvegia si mangiano infuse su aceto come i citrioli. In Inghilterra se ne fa una specie di vino. I frutti sono alquanto purgativi e gradito pascolo dei merli. I rami del sambuco, scrive il cardinal Simonetta, sono preziosissimi, per fare orinare i cavalli battendo loro coi rami sotto la pancia. L'odore graveolente del sambuco, scaccia le mosche, le farfalle e gli scarafaggi. Il sugo delle cime del sambuco unito a grasso di maiale, ungendone i cavalli e gli asini allontana da loro le zanzare. Mettendone dei rami fra i cavoli si liberano dalle gatte, al qual uso servirebbe meglio l'altra specie puzzolente detta sambucus ebulus o sambuco nano, da noi conosciuto sotto il nome di ughetta, la quale scaccia pure i topi.
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liberano dalle gatte, al qual uso servirebbe meglio l'altra specie puzzolente detta sambucus ebulus o sambuco nano, da noi conosciuto sotto il nome di
La scorzonera è una pianticella erbacea, della famiglia delle cicorie, della quale si mangiano le radici. Se ne conoscono 8 varietà. Da noi due se ne coltivano. La bianca (tropogon porrifolium), che è annuale, e si semina in primavera, per raccoglierne le radici in Ottobre ed in seguito, e vuole terreno profondo e grasso. È dolce e si fa friggere e conciare con burro come i legumi ed in insalata. L'altra la nera, o salsifino (scorzonera hispanica) è meno coltivata delle precedenti, perchè meno preferibile. È bisannuale, e produce una lunga e carnosa radice a pelle nera e carne bianca, di gusto amaro, che mangiasi pure a mo' dell'altra. Si semina egualmente, à fiori violacei in Luglio. Nel linguaggio dei fiori: rozzezza. Benchè perdurino due anni nel secondo perdono di bontà. Gli uccelli sono assai ghiotti del suo seme. La specie humilis dà fiori dei quali si cava una tintura color nero. Alla prima specie (tropogon) appartiene quella così detta barba di becco o barba di prete (tropogon pratense) in milanese barbabicch o erbabicch od anche bassabicch. Alcuni la vogliono originaria dalla Siberia, ma pare invece che sia della Spagna, come lo indica anche il suo cognome hispanica, la quale si ritiene pure la sola vera scorzonera. Il suo nome viene dal colore della sua scorza. Il medico portoghese Nicolò Monardes scrive che la scorzonera fu scoperta solo verso la metà del secolo XVI ad Urgel in Catalogna in una località detta il Monte Bianco. E racconta che quel paese era molestato ed invaso da serpi velenose, dette scorzoni, e che un moro d'Africa curava i morsicati colla sua radice. Da qui il medico portoghese inferisce che venne il suo nome di scorzonera, cioè erba atta a guarire dagli scorzoni che, a sua detta, muoiono subito se si riesce a metterla loro in bocca. Ve la dò come l'ò trovata su un libro stampato a Venezia appresso Francesco Zilletti nell'anno 1582.
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. Alla prima specie (tropogon) appartiene quella così detta barba di becco o barba di prete (tropogon pratense) in milanese barbabicch o erbabicch od
Satureja, santoreggia, savoreggia, caniella, peverella, erba acciuga è la medesima pianticella annuale, originaria della Spagna, vaga per la sua fioritura bianco porporina. Si risemina da sè abbondantemente, e nasce facilmente dovunque. Nel linguaggio dei fiori: ingenuità. Ve ne sono 8 varietà , tutta la pianta è aromatica. I cuochi la ricercano per rendere più grato il sapore delle fave, delle lenti, dei piselli secchi, e degli altri legumi, ai quali si unisce assai bene, come in tutte le salse I Tedeschi la mettono nel loro Sauer-Kraut. Fu chiamata la salsa dei poveri. È utile in medicina, come stomachica, la sua decozione è buona per gargarismi e spruzzata nelle orecchie per le otiti, da qui forse il suo nome popolare di santoreggia, giova nelle affezioni vaporose. Colla satureja se ne profumano le abitazioni in tempo di epidemia e le stalle quando regnano le epizoozie. Il suo nome satureja dall'antico satyreja perchè di questa erba se ne cibavano volentieri i satiri, certi uomini, che c'erano una volta e che avevano le corna e i piedi di capra. Era detta dai Romani cunila e conyza, (da qui l'altro nome popolare di coniella) che il volgo chiamava anche pulicaria perchè serviva a scacciare le pulci, virtù che conserva anche oggidì, emula della maggiorana. I fiori della satureja, sono cibo graditissimo delle api.
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piedi di capra. Era detta dai Romani cunila e conyza, (da qui l'altro nome popolare di coniella) che il volgo chiamava anche pulicaria perchè serviva
Frittura di zucche. — Tolta la pelle al collo di Una zucca gialla, detta di Gerusalemme, tagliatene la polpa in pezzi grossi un dito , e fateli cuocere lentamente in latte tanto che basti, con una presa di sale. Quando la zucca avrà attirato quasi tutto il latte asciugatene i pezzi, avvolgeteli nel tuorlo d'ovo sbattuto, poi nel pane grattucciato, lasciateli friggere prestamente nel burro e serviteli spolverizzati di zuccaro. Badate che i pezzi di zucca non si disfino.
L'orto in cucina - Almanacco 1886
Frittura di zucche. — Tolta la pelle al collo di Una zucca gialla, detta di Gerusalemme, tagliatene la polpa in pezzi grossi un dito , e fateli